Quando si chiude il pignoramento della casa?

fonte:   laleggepertutti.it

Pignoramenti immobiliari: con le novità approvate dal Governo e contenute nel nuovo “Decreto Banche” [1], si fa più vicina la possibilità, per il debitore con casa ipotecata e pignorata, di tornare nella piena disponibilità del proprio immobile e vedere chiusa finalmente l’esecuzione forzata. Insomma: è proprio il caso di dire che le aste hanno “le ore contate”. Questo perché, da un lato, la nuova legge fissa un numero massimo di esperimenti di vendita (quattro) che sarà difficile superare; dall’altro lato, tale disposizione va coordinata con un articolo del codice di procedura civile [2] – anch’esso di recente introduzione – che consente al giudice di estinguere il pignoramento tutte le volte in cui il prezzo della base d’asta scende in modo eccessivo rispetto al credito fatto valere e al valore della casa stessa. Ma procediamo con ordine.

Quattro aste in tutto

Il decreto legge approvato lo scorso 3 maggio 2016 consente al giudice, in caso di vendita della casa all’asta nel corso di un procedimento di espropriazione forzata, di fissare un prezzo base inferiore al precedente fino al limite di un quarto e, dopo il terzo tentativo di vendita andato deserto, fino al limite della metà [3].
In pratica, una volta avviato il pignoramento dell’immobile, il giudice nomina il perito per la valutazione del bene. Verranno quindi effettuate le prime tre aste, con riduzione del prezzo di vendita, tra l’una e l’altra, di un quarto rispetto al valore accertato dal consulente tecnico. Se anche la terza asta andrà “deserta” (ossia non vi parteciperà alcun offerente), il giudice potrà ridurre la base d’asta di ben il 50%: una riduzione che servirà per invogliare i terzi a partecipare alla vendita forzata, ma anche per testare se, effettivamente, vi possono essere interessati all’immobile pignorato.

Che succede se alla quarta asta l’immobile resta invenduto?

Il decreto legge appena approvato non dice espressamente cosa succede se anche la quarta asta (con riduzione del 50% del prezzo) dovesse andare deserta. Tuttavia la soluzione sembra potersi dedurre dalle norme che già esistevano all’interno del codice di procedura civile [2] (norme, peraltro, introdotte solo due anni fa [2]). Esse infatti stabiliscono quanto segue:

(Infruttuosità dell’espropriazione forzata). “Quando risulta che non è più possibile conseguire un ragionevole soddisfacimento delle pretese dei creditori, anche tenuto conto dei costi necessari per la prosecuzione della procedura, delle probabilità di liquidazione del bene e del presumibile valore di realizzo, è disposta la chiusura anticipata del processo esecutivo”.

L’interpretazione di questa norma, piuttosto generica, ha destato inizialmente quale perplessità. Essa sta a significare che, quando si crea troppa sproporzione tra il ricavato derivante da una eventuale vendita forzata dell’immobile pignorato e il credito per il quale si sta agendo, il tribunale chiude definitivamente la procedura esecutiva.
Stando alle prime interpretazioni della norma, al contrario di quanto si era inizialmente ritenuto, la valutazione sulla sproporzione che il magistrato deve effettuare non è tanto tra il valore della casa e il prezzo di vendita, ma tra il prezzo di vendita e l’ammontare del credito che ha dato luogo al pignoramento: infatti, se all’esito della vendita, detto credito non dovesse essere soddisfatto in modo ragionevole (almeno al 50%), non vi è ragione di continuare con le aste. Diversamente non ne verrebbe alcun utile né per il debitore (che sarebbe espropriato della casa senza liberarsi della morosità), né per il creditore (che, nonostante la procedura, non verrebbe soddisfatto nelle sue pretese).

Se il prezzo dell’asta scende troppo

A questo punto non resta che confrontare le due norme appena illustrate: la prima consente un taglio del prezzo del 50% alla quarta asta; la seconda stabilisce che, se il prezzo della vendita “scende troppo” rispetto al credito fatto valere, il giudice chiude definitivamente il pignoramento. Secondo alcune sentenze, si può dire che il prezzo “scende troppo” quando non riesce a coprire almeno il 50% del credito; secondo altri magistrati ciò succede, invece, quando il prezzo di vendita ha superato di oltre la metà il valore di mercato dell’immobile. Ebbene: tali condizioni si verificheranno facilmente al compimento della quarta asta. Risultato: è facile prevedere che, per gran parte dei pignoramenti di case, la procedura si potrebbe chiudere proprio dopo il quarto esperimento d’asta.

Se rifiuto la raccomandata

fonte:   laleggepertutti.it

Posso rifiutare una raccomandata?

Capita di sapere in anticipo che presto ci verrà recapitata una raccomandata che non vorremmo mai ricevere. In casi del genere, si pensa di risolvere il problema non ritirandola, senza sapere, invece, che il rifiuto di accettazione non mette al riparo da nulla e, anzi, può essere controproducente. Vediamo cosa comporta nella pratica.

Cosa produce il rifiuto della raccomandata?

Rifiutare una raccomandata o non recarsi in posta a ritirarla è un diritto di ogni cittadino ma ciò non significa che sia una scelta giusta. La non accettazione, infatti, non annulla gli effetti della raccomandata regolarmente inviata presso la residenza anagrafica del destinatario: essa si considera ugualmente valida e conserva tutti gli effetti legali.
Si ricorda che se il destinatario si rifiuta di ricevere la raccomandata ovvero questi è assente, il plico viene comunque depositato presso l’ufficio postale per un mese. Tecnicamente questo è il periodo di giacenza. In questo lasso di tempo il destinatario può comunque decidere di andare a ritirarla.
Allo scadere del mese, se il destinatario non ha ritirato la raccomandata si verifica la c.d. compiuta giacenza e la lettera viene restituita al mittente. Tuttavia, gli effetti per il mittente nei confronti del destinatario sono gli stessi di quelli che si sarebbero prodotti se la lettera fosse stata regolarmente ricevuta dal destinatario medesimo. In altre parole, la raccomandata regolarmente spedita e non ritirata per qualsivoglia motivo, si considera comunque ricevuta dal destinatario. Con la conseguenza che qualsiasi diffida, contestazione, messa in mora, richiesta di pagamento o altro fosse contenuta nel plico, si presume sia conosciuta dal destinatario e, quindi, efficace.

Cosa posso fare dopo aver rifiutato la raccomandata?

Si tratta della presunzione di conoscenza [1] che fa sì che, in caso di rifiuto, assenza o mancato ritiro della raccomandata, la missiva, si comunque presume conosciuta.
Questo è il motivo per cui non è mai conveniente o furbo rifiutarsi di ritirare la raccomandata dal postino, solo perché si è certi che il mittente è un avvocato, il tribunale o qualsiasi altro soggetto dal quale non è il caso di ricevere comunicazioni.
L’unica ancora di salvezza, in casi di questo genere, rimane quella di dimostrare che il destinatario si sia trovato nell’impossibilità oggettiva di avere notizia della raccomandata, ma tale prova risulta molto difficile e complicata.

Così la banca può pignorare o vendere la casa del debitore

Fonte:  laleggepertutti.it

Il decreto legge “Salva Banche”, approvato dal Governo a inizio mese, che consente agli istituti di credito di espropriare o mettere all’asta e vendere la casa del debitore in tempi brevissimi, superando così i tradizionali problemi delle esecuzioni forzate, non ha ancora acceso i motori, ma quando ciò accadrà – probabilmente già nei prossimi mesi – saranno evidenti i forti effetti non solo sui mutui futuri, ma anche sulle espropriazioni in atto e sul mercato immobiliare.

Ricordiamo che la nuova legge attribuisce alle banche due enormi poteri:

il primo è costituito dal cosiddetto patto marciano: i contratti di mutuo potranno contenere una clausola in virtù della quale, in caso di inadempimento nel pagamento delle rate del mutuo, alla banca sarà consentito espropriare l’immobile, farlo valutare da un perito nominato dal Presidente del Tribunale e poi venderlo per via diretta, senza cioè la procedura di pignoramento e l’intermediazione di un giudice. All’esito della vendita, l’istituto di credito dovrà restituire al cliente l’eventuale differenza tra il debito residuo e il prezzo di vendita; tale procedura, in ogni caso, libererà il mutuatario da ogni obbligo nei confronti della banca, anche se la vendita non dovesse coprire il debito residuo;

il secondo strumento è invece di tipo processuale: in caso di vendita all’asta (le cosiddette espropriazioni o pignoramenti immobiliari), dopo il terzo esperimento andato infruttuoso (in gergo tecnico si dice “asta deserta”), il giudice potrà disporre un quarto esperimento, riducendo questa volta il prezzo base della metà (anziché un quarto, come è stato fino a ieri): una svendita che, peraltro, si applicherà anche alle procedure iniziate negli anni passati (il decreto legge ha infatti, almeno in questo, effetto retroattivo. Per maggiori dettagli sul punto leggi: “Le banche svenderanno gli immobili pignorati prima della riforma”).
Non solo. La banca potrà partecipare alla vendita, presentando un’offerta e rendendosi così aggiudicataria dell’immobile il cui acquisto, in precedenza, aveva essa stessa finanziato (peraltro, avendo la liquidità per farlo in via sistematica). Peraltro, le viene consentito di nominare, nei cinque giorni successivi all’aggiudicazione, una terza società come effettiva intestataria dell’immobile (che potrà anche essere una immobiliare appartenente allo stesso gruppo bancario), che poi si occuperà della ricollocazione sul mercato.
I regali non finiscono qui: il decreto regala alla banca un abbattimento totale dell’imposta di registro (attualmente del 9% sul valore dell’immobile acquistato): al suo posto pagherà un’imposta flat di 200 euro (il risparmio è di circa 45mila euro su un immobile venduto a 500mila euro). Tale beneficio fiscale viene comunque condizionato al fatto che, entro un anno, la banca proceda a rivendere l’immobile.

Non appena, quindi, il decreto governativo otterrà la conversione in legge, i giudici di tutti i tribunali italiani inizieranno a fissare le nuove aste con riduzione del prezzo base fino alla metà: una liquidazione totale del patrimonio immobiliare italiano in nome della celerità delle espropriazioni e per consentire alle banche di riottenere la liquidità persa in tutti questi anni.

Questo avrà una serie di effetti devastanti su diversi fronti. Innanzitutto ne farà le spese chi ha già in corso un pignoramento immobiliare e, da più anni, assiste ai vari tentativi di asta: in virtù delle nuove regole – che, come detto, si applicheranno retroattivamente – il proprietario dell’immobile si vedrà vendere la casa in favore della stessa banca che gliel’ha finanziata a un prezzo peraltro irrisorio.

In secondo luogo, sarà lo stesso mercato immobiliare a subire il colpo: la possibilità di essere espropriati così facilmente potrebbe disincentivare consumatori e imprese dall’acquisto di un bene per il quale non vi sia ragionevole sicurezza di restituzione del finanziamento. Peraltro, la maggiore convenienza delle aste giudiziarie (non solo per via del predetto abbattimento della base d’asta, ma anche della cancellazione dell’imposta di registro) potrebbe ridurre la richiesta di “nuovo” rispetto all’usato.

Notifiche: Equitalia deve produrre solo la raccomandata a.r

Se il contribuente asserisce di non aver mai ricevuto la cartella di pagamento di Equitalia, spetta a quest’ultima dimostrare il contrario. E come? Non certo con l’estratto di ruolo, neanche se “autenticato” dai propri funzionari (che, sicuramente, non sono pubblici ufficiali). È necessaria la ricevuta della raccomandata con avviso di ritorno per provare che il contribuente ha ricevuto correttamente il plico. L’agente della riscossione non è invece obbligato a produrre la copia della cartella stessa sulla cui notifica si controverte. È quanto chiarito dalla Cassazione con una recente sentenza [1].

La notifica della cartella con raccomandata a.r.

La Corte Suprema ricorda che, in tema di riscossione delle imposte, la notifica della cartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario della riscossione, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento.

Sul punto, però, esiste giurisprudenza di merito che è di parere diametralmente opposto: la notifica può avvenire solo con i messi comunali, la polizia municipale o gli ufficiali giudiziari; mai quindi con la consegna diretta della raccomandata, da parte di Equitalia, all’ufficio postale. Secondo i sostenitori di tale tesi, le cartelle esattoriali notificate in modo differente sarebbero tutte nulle.
La Cassazione, però, come detto, resta ancora dell’idea che l’Agente della riscossione possa ricorrere al tradizionale postino.

Ebbene, in quest’ultimo caso – ossia di consegna della cartella a mezzo raccomandata a.r. – la notifica si perfeziona con la ricezione da parte del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento. Non è necessaria un’apposita “relazione di notifica”, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, il regolare compimento, la consegna e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, sentenza 21 gennaio – 17 febbraio 2016, n. 3036

Cartelle Equitalia: le contestazioni da non sollevare mai

Fonte:   laleggepertutti.it

Quando si riceve la notifica di una cartella di pagamento di Equitalia (la cosiddetta cartella esattoriale) per importi in realtà dovuti, non sono pochi i contribuenti a tentare la “scappatoia” del ricorso, ancorandosi a vizi formali, per non corrispondere gli importi richiesti dall’Agente della riscossione. Alcune di queste contestazioni, però, sono del tutto inutili e potrebbero solo far spendere soldi al ricorrente; altre, invece, gli si potrebbero addirittura ritorcere contro, come le eccezioni sui difetti di notifica. Una panoramica di ciò che non è consigliabile fare la offre una recente sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Toscana [1] che val la pena di segnalare quale emblema di come, da una vicenda di per sé insignificante, si possa stilare un vademecum delle cause contro Equitalia.

Un boomerang le contestazioni sul difetto di notifica

La CTR innanzitutto rammenta un principio sul quale la giurisprudenza, ormai, ha preso da tempo una posizione ferma: quello secondo cui il vizio per difetto di notifica viene sanato dalla presentazione del ricorso. Può sembrare contraddittorio, ma così non è. Sarebbe infatti illogico sostenere di non aver mai ricevuto una cartella – o di non averla ricevuta correttamente – se, con l’impugnazione (e, quindi, con il deposito dell’atto impugnato innanzi al giudice), si ammette poi il suo ricevimento.

Scopo della notifica è, infatti, portare il contribuente a conoscenza della pretesa di pagamento nei suoi confronti e, quindi, metterlo nelle condizioni di difendersi. Ma se questi ha presentato ricorso ha ammesso due cose: 1) di essere – seppur trasversalmente – venuto a conoscenza della cartella; 2) di essersi, di conseguenza, potuto difendere.

L’eccezione sul difetto di notifica, dunque, quando sollevata con il ricorso contro l’atto di cui si contesta il corretto ricevimento, sana il vizio stesso. La logica che sta alla base di questo principio (meglio noto come “raggiungimento dello scopo da parte dell’atto”) non fa una grinza: se il contribuente si duole di non aver ricevuto la cartella di pagamento in modo corretto, non potrebbe neanche impugnarla, perché non dovrebbe esserne a conoscenza. Se, invece, la impugna, dimostra di averne preso, in qualche modo, visione anche se non con l’iter imposto dalla legge. E poiché le norme sul procedimento di notifica hanno per scopo proprio quello di rendere edotto il contribuente dell’atto notificatogli, il fatto che questi ammetta che ciò sia avvenuto – seppur in modo diverso da quello previsto dalla legge – fa sì che si possa dire che l’atto ha raggiunto il suo scopo.

Tale principio del raggiungimento dello scopo vale anche nei casi di vizi più gravi, ossia quelli di inesistenza della notifica (ad esempio, quando la cartella sia stata notificata in un luogo o consegnata ad una persona che non presentino alcun legame con il destinatario dell’atto, risultando a costui del tutto estranei). Anche in dette ipotesi, infatti, i vizi della la notifica si ritengono sanati in caso di tempestiva costituzione del ricorrente.

Ma cosa dovrebbe fare, allora, il contribuente per contestare un difetto di notifica di una cartella? In verità, l’unico modo è non sollevare ricorso e, invece, riservarsi tale carta per il successivo atto che effettuerà Equitalia. Si pensi a una cartella di pagamento non notificata presso l’abitazione del contribuente; se questi solleva subito il vizio, impugnando la cartella, lo sana. Ma se il debitore ha la pazienza di attendere la successiva mossa dell’Esattore, come ad esempio un preavviso di ipoteca, un pignoramento o una diffida ad adempiere, potrebbe impugnare quest’ultimo, sostenendo che il primitivo atto (la cartella, o meglio detta, in tal caso, atto prodromico) non gli è mai stata consegnata. In tal modo, egli dedurrebbe di non essersi potuto difendere contro l’iniziale pretesa di pagamento, non potendo presentare ricorso nei termini. E, allora, con l’accoglimento dell’eccezione da parte del giudice, tutto il procedimento di notifica decadrebbe. Quindi cesserebbe non solo il pignoramento, ma verrebbe annullata anche la cartella.

Le contestazioni sul merito del pagamento

Un altro tipo di eccezione che verrebbe sicuramente rigettato e che porterebbe il contribuente a spendere inutilmente soldi per il ricorso è quella volta a rimettere in gioco il “merito” del tributo o della sanzione, ossia il “se” o il “quanto” del pagamento. Facciamo un esempio per spiegarci meglio. Se il contribuente riceve una cartella di pagamento per una multa derivante dalla violazione del codice della strada, non potrebbe sollevare, nel ricorso contro l’atto di Equitalia, contestazioni contro la legittimità della multa stessa (per esempio, l’illegittimità dell’autovelox), poiché tali eccezioni possono essere sollevate solo contro la prima richiesta di pagamento (nell’esempio, la notifica del verbale da parte della polizia; ma potrebbe trattarsi anche di avvisi di accertamento dell’Agenzia delle Entrate, arretrati di bollo auto, contributi Inps, ecc.).

Nella sentenza qui in commento si chiarisce che è inammissibile il tentativo di reintrodurre, mediante l’impugnazione della cartella, la cognizione sul merito della pretesa tributaria, specie se c’è già stato un ricorso contro il primo atto del fisco. E questo anche nel caso in cui si eccepisca la violazione della normativa comunitaria.

Le uniche eccezioni, dunque, che possono essere sollevate contro la cartella sono:

la mancata notifica dell’atto iniziale (nell’esempio di prima, la contravvenzione); in tal caso il debitore asserisce di non aver mai ricevuto, prima della cartella, alcun atto con il quale gli sia stata data la possibilità di difendersi da quella pretesa di pagamento;
vizi della cartella stessa (che non siano, come detto sopra, quelli relativi alla notifica), come ad esempio un errato calcolo degli importi, l’invio alla persona sbagliata, la mancata indicazione del responsabile del procedimento o delle modalità di conteggio degli interessi, ecc.

Bonus mobili: nuove regole per i bonifici

Fonte: Laleggepertutti.it

L’Agenzia delle Entrate ha da ultimo ridefinito le modalità di accesso al bonus mobili e grandi elettrodomestici e dal 2016 anche per il bonus mobili per le giovani coppie [1].

Sino a pochi giorni fa il bonifico attraverso il quale era necessario acquistare i mobili o gli elettrodomestici per fare poter richiedere il bonus doveva essere un “bonifico parlante”, nella causale doveva cioè riportare la norma agevolativa e il codice fiscale del beneficiario, la detrazione e il numero di partita Iva o codice fiscale del soggetto a favore del quale il bonifico è effettuato (e per il quale è prevista anche la trattenuta della ritenuta del 4% [2]). Questa regola imposta dalle stesse Entrate nel 2013 [3] prevedeva che se il pagamento era effettuato secondo bonifico bancario o postale era necessario utilizzare il bonifico predisposto da banche e poste, dunque il versamento, per chiarirsi, non poteva esser fatto via home banking, né tantomeno attraverso carte di pagamento. Il processo era insomma molto farraginoso.

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Bonus mobili: cosa cambia

La circolare citata chiarisce che con riferimento alle spese del 2015 relative agli acquisti ammissibili al bonus mobili e grandi elettrodomestici e per il bonus giovani coppie per le spese del 2016, saranno ammissibili anche i bonifici semplici, ovvero non parlanti.
Come abbiamo ricordato qualche tempo fa inoltre per queste spese, poi, continua ad essere possibile il pagamento con la carta di debito (bancomat), o la carta di credito (leggi anche Bonus Mobili: cambiano le regole per pagamenti e requisiti).
Bonus Mobili: quali metodi di pagamento non sono ammessi?

Restano non ammessi tra i metodi di pagamento:
gli assegni bancari;
i contanti;
altri mezzi di pagamento differenti da bonifico e carte.

Bonus Mobili: detraibili gli acquisti all’estero

Se il pagamento avviene attraverso bonifico anche l’acquisto di mobili ed elettrodomestici all’estero è agevolabile. Resta il dubbio se sia ancora necessario in questo caso il bonifico parlante o meno (leggi anche Detrazioni fiscali che non si conoscono).

Bonus Mobili: quanto è agevolabile?

È possibile ottenere il bonus mobili per acquisti effettuati per abitazioni che risultino in ristrutturazione. In particolare per gli acquisti di mobili e grandi elettrodomestici, pagati nel 2016 e detraibili dall’Irpef al 50%, è necessario aver effettuato dal 26 giugno 2012 al 31 dicembre 2016 almeno un pagamento, anch’esso detraibile al 50% secondo il bonus ristrutturazioni, per un intervento di recupero del patrimonio edilizio sulla casa da arredare, rilevante per il bonus mobili.
Il limite di acquisto per bonus mobili e grandi elettrodomestici, riconfermato nella circolare citata [1] è di 10mila euro e deve essere calcolato considerando le spese sostenute nel corso dell’intero arco temporale agevolato (che va dal 6 giugno 2013 al 31 dicembre 2016), anche nel caso di più interventi di ristrutturazione successivi. Il limite di 10mila euro deve essere riferito alla singola unità immobiliare, comprensiva delle pertinenze, o alla parte comune dell’edificio oggetto di ristrutturazione, a prescindere dal numero dei contribuenti che partecipano alla spesa (istruzioni del modello 730 o di Unico PF).

Bonus mobili: si può percepire più volte?

Quanto detto sino ad ora non vuol dire che un contribuente non possa usufruire di più bonus mobili (per più unità immobiliari). La fruizione del bonus difatti è legato all’unità immobiliare, per cui su due unità immobiliari per due ristrutturazioni è possibile ottenere due volte il bonus. L’importo massimo di 10.000 euro è riferito a ciascuna unità abitativa oggetto di ristrutturazione.

Quali lavori edili sbloccano il bonus mobili?

Per poter fruire del bonus mobili è necessario avere effettuato una spesa di lavori edili. Ecco quali sono accettati:
le manutenzioni straordinarie (ordinarie, solo su parti comuni condominiali),
i restauri e risanamenti conservativi,
le ristrutturazioni edilizie,
le ricostruzioni o ripristini di immobili danneggiati da eventi calamitosi e gli acquisti di abitazioni facenti parte di fabbricati completamente ristrutturati (od oggetto di restauro e risanamento conservativo) da imprese di costruzione o ristrutturazione immobiliare.

Ricordiamo che sui lavori edili vige una detrazione al 50% [4]. Per conoscere tutte le regole sulla ristrutturazione edilizia ti consigliamo la nostra guida dedicata.

Ipoteca di Equitalia nulla senza preavviso coi termini di ricorso

Fonte: Laleggepertutti.it

Il contribuente deve essere sempre messo nelle condizioni di conoscere le condizioni per esercitare il proprio diritto di difesa: il che significa che ogni atto di Equitalia, sia esso una cartella di pagamento o un preavviso di fermo o di ipoteca, deve indicare espressamente e in modo chiaro e intellegibile, le modalità e termini per poter ricorrere al giudice e fare opposizione. È vero, la legge non ammette ignoranza, ma ciò riguarda solo le norme di diritto sostanziale e non quelle sulla procedura: sicché l’amministrazione si deve sempre porre in una condizione di trasparenza e collaborazione, tanto da garantire a ogni cittadino, all’interno delle proprie comunicazioni, la conoscenza anticipata dei diritti che gli competono. È pertanto nulla, e deve essere immediatamente cancellata, l’ipoteca iscritta da Equitalia sull’immobile di proprietà del debitore senza che quest’ultimo sia stato previamente informato su come proporre ricorso, qualora voglia opporsi.
Questo importante principio è stato finalmente formalizzato dal più alto organo della giurisprudenza italiana: la Cassazione ha infatti messo nero su bianco tale principio in una sentenza pubblicata poche ore fa [1]. La pronuncia suona come una sonora bacchettata alle comunicazioni, tutt’altro che rare, sbrigative e frettolose di Equitalia.

Il preavviso di ipoteca

Prima di iscrivere ipoteca – così come per il fermo amministrativo, visto che le due discipline sono parallele – Equitalia è tenuta a inviare al contribuente un preavviso (il cosiddetto preavviso di iscrizione di ipoteca) con raccomandata con avviso di ricevimento. In esso viene comunicato al debitore che, se entro 30 giorni non provvederà al pagamento delle somme iscritte a ruolo, avrà luogo l’iscrizione dell’ipoteca.

Una volta iscritta l’ipoteca, Equitalia non deve inviare altra successiva comunicazione, neppure dell’avvenuta iscrizione ipotecaria.

L’obbligo di preventiva comunicazione e concessione del termine di 30 giorni affinché il contribuente possa esercitare il diritto di difesa, presentando opportune osservazioni o provvedere al pagamento del dovuto, si applica anche ai procedimenti iniziati prima del 13 luglio 2011 (quando l’obbligo non era previsto per legge) con conseguente nullità dell’ipoteca iscritta in assenza della preventiva comunicazione [2].

Il diritto alla difesa sulle modalità per presentare ricorso

Nelle motivazioni i Supremi giudici spiegano che l’ipoteca né il fermo amministrativo rientrano fra gli atti di espropriazione forzata [3]. Da ciò deriva, fra l’altro, l’obbligo di comunicazione completa circa le modalità di contestazione.

La Cassazione è chiara sulle garanzie che spettano al contribuente: in tema di riscossione coattiva delle imposte, Equitalia prima di iscrivere l’ipoteca su beni immobili deve comunicare al contribuente che procederà alla suddetta iscrizione, concedendo al medesimo un termine di trenta giorni, per presentare osservazioni od effettuare il pagamento. L’omessa attivazione di tale contraddittorio amministrativo comporta la nullità dell’iscrizione di ipoteca per violazione del diritto alla partecipazione al procedimento, garantito anche dalla Carta dei diritti fondamentali della Unione europea [4].

Canone Rai: le modalità per inviare l’autocertificazione

Fonte: Laleggepertutti.it

Per non pagare il canone Rai è necessario trovarsi alternativamente in una delle tre seguenti condizioni:

non avere una televisione in casa;
essere parte di un nucleo familiare dove già un soggetto versa il canone Rai (verosimilmente attraverso l’addebito sulla bolletta della luce)
essere anziani over 75 anni con reddito (sommato al coniuge) di non oltre 8mila euro.

In tali casi, il contribuente è obbligato – per non vedersi addebitare il canone sulla bolletta della luce – a inviare all’Agenzia delle Entrate un’autocertificazione secondo le istruzioni che abbiamo fornito sulla nostra guida (in cui è presente anche il modulo): leggi “Come inviare l’autocertificazione di non possesso tv”.

 Modalità di invio dell’autocertificazione

I contribuenti che non intendono pagare il canone TV potranno inviare la dichiarazione sostitutiva di non detenzione dell’apparecchio televisivo attraverso le seguenti modalità:

– tramite PEC (posta elettronica certificata) purché la dichiarazione stessa sia sottoscritta mediante firma digitale. L’indirizzo a cui inviarla è cp22.sat@postacertificata.rai.it;

– direttamente dal contribuente o dall’erede mediante una specifica applicazione web disponibile sul sito internet dell’Agenzia delle entrate, utilizzando le credenziali Fisconline o Entratel rilasciate dall’Agenzia delle entrate;

– avvalendosi di un intermediario abilitato ai sensi dell’art. 3, comma 3, del D.P.R. n. 322/1998. La dichiarazione si considera presentata nella data risultante dalla ricevuta rilasciata in via telematica dall’Agenzia delle entrate;

– a mezzo del servizio postale in plico raccomandato senza busta all’indirizzo Agenzia delle entrate Ufficio Torino 1 Sportello abbonamenti TV Casella postale 22 10121 – Torino. In questo caso dovrà allegare una copia di un valido documento di riconoscimento.

Tempi

Per il 2016, l’autocertificazione va presentata entro il 16 maggio 2016 per avere effetto per l’intero canone dovuto per l’anno 2016. La dichiarazione sostitutiva presentata dal 17 maggio 2016 al 30 giugno 2016 ha effetto per il canone dovuto per il semestre luglio-dicembre 2016. La dichiarazione sostitutiva presentata dal 1° luglio 2016 ed entro il 31 gennaio 2017 ha effetto per l’intero canone dovuto per l’anno 2017.
Dal 2017 in poi, andrà inviata dal 1° luglio al 31 gennaio dell’anno successivo e avrà effetto per quest’ultimo anno (per esempio: l’autocertificazione inviata il 30 luglio 2018 o il 2 gennaio 2018 avrà effetto per il 2018).

Garanzia illimitata se il venditore conosceva i difetti del bene venduto

Fonte: Laleggepertutti.it

Contachilometri dell’auto di seconda mano alterato in vista della vendita, ma la concessionaria fa firmare all’acquirente, prima del passaggio di proprietà, una clausola con cui si esclude la garanzia del venditore: il patto non è valido e il consumatore può ugualmente chiedere il risarcimento del danno o l’annullamento del contratto con restituzione dei soldi versati. Questo perché il codice civile stabilisce che l’accordo, tra venditore e acquirente, con cui quest’ultimo rinuncia alla garanzia sul bene acquistato non ha alcun effetto se il venditore, in malafede, ha taciuto al compratore i vizi della cosa. A ricordarlo è una sentenza della Cassazione pubblicata ieri [2].   La norma presuppone che il venditore abbia raggirato il compratore tacendo consapevolmente i vizi della cosa venduta dei quali era a conoscenza, inducendolo così ad accettare la clausola di esonero dalla garanzia che altrimenti non avrebbe accettato.

 Se però il venditore non era al corrente dei vizi della cosa venduta, anche se per sua colpa grave, tale norma non si applica più e il consumatore che abbia firmato la clausola di esonero della garanzia resta valida.   La Corte ricorda che l’invalidità del patto di esclusione della garanzia scatta solo se il venditore ha in malafede taciuto al compratore i vizi della cosa. Il che avviene quando il venditore è effettivamente a conoscenza del vizio e, con consapevolezza, lo nasconde o non lo rivela all’acquirente. La norma pertanto non si applica se il venditore non sa nulla del vizio, anche nel caso in cui avrebbe dovuto/potuto conoscerlo. In buona sostanza, anche se il venditore è caduto in una ignoranza, sia pur colpevole, il patto di garanzia è perfettamente operante. Infatti, il “tacere” non farebbe parte di un raggiro ai danni del compratore, ma sarebbe solo conseguenza di non conoscenza, sia pure colpevole.

Finanziamento per non bancabili: Prestito della Speranza

Il Prestito è finalizzato al reinserimento lavorativo oppure all’avvio di un’attività autonoma. Può essere richiesto un finanziamento per un’attività di formazione, di riqualificazione professionale, sulla base delle attitudini e delle esperienze lavorative. In base alle competenze del richiedente e alle possibilità offerte dal mercato, può essere costruito un percorso di reinserimento lavorativo o di sviluppo di un’attività autonoma I richiedenti , se persone fisiche, devono essere in possesso di almeno uno dei seguenti requisiti:
a) certificazione ISEE rilasciata da ente ufficiale abilitato, attestante lo stato di necessità;
b) nel caso di disagio, malattia, o invalidità: copia della documentazione attestante la circostanza, rilasciata dall’INPS o da altro organo competente (Ente pubblico, Asl….)
c) nel caso di disoccupazione: lettera di Licenziamento e periodo di preavviso o fine contratto, o iscrizione alle liste di disoccupazione Alle microimprese viene richiesto:
1) Iscrizione alla Camera di Commercio e partita iva;
2) Bilancio degli ultimi tre anni o di un periodo inferiore equivalente all’intero periodo di attività,
3) Business-plan del progetto di rilancio;
4) Business plan di start up di nuova attività;
5) Regolarità delle posizioni fiscali e contributive (DURC)

Credito sociale

Destinato a persone fisiche. Finanziando il singolo si potrà intervenire anche a favore del nucleo familiare. Si tratta di finanziamenti di importo non superiore a 7.500 euro, TAN non superiore al 2,5%, erogati in 6 rate bimensili di 1.250 euro ciascuna, se non diversamente concordato tra Banca e Cliente, come forma di sostegno al reddito. La rata mensile indicativa è di 134 euro.
Il finanziamento viene restituito alla Banca sulla base di un piano di ammortamento della durata massima di 6 anni, comprensivi del periodo di preammortamento di 12 mesi In nessun caso si applicano le penali di estinzione anticipata.

Credito fare impresa

Rriservato a Microimprese.
Sono finanziamenti di importo non superiore a 25.000 euro, erogati in una unica tranche, se non diversamente concordato tra Banca e Cliente, per l’avvio o lo sviluppo di un’iniziativa imprenditoriale o di lavoro autonomo, TAN non superiore al 4,5% . La rata mensile indicativa è di 468 euro.
Il finanziamento viene restituito alla Banca sulla base di un piano di ammortamento della durata massima di 6 anni, comprensivi del periodo di preammortamento di 12 mesi In nessun caso si applicano le penali di estinzione anticipata.